Resilienza e isteresi nei mari del sud

Isole tropicali dei mari del sud , nel Pacifico australe, mostrano una certa resilienza al cambiamento climatico che si manifesta, in quelle zone, ad es. nell'aumento del livello del mare. Non si "spostano" certo nello spazio e nel tempo, attraverso smagliature nel tessuto connettivo, come nel serial Lost (ma beccatevi questo bellissimo pezzo di Joe Purdy che chiude tabula rasa ;-)
In realtà, secondo quanto riportava settimana scorsa NewScientist, alcuni ricercatori neozelandesi della University of Auckland e della South Pacific Applied Geoscience Commmission (qui lo studio originale) hanno scoperto come, against all odds, un numero elevato di isole a forma irregolare che si trovano in mezzo al Pacifico sono still standing nonostante gli effetti eustatici e termosterici che il GW induce nei mari.
Dal confronto fra fotografie aeree storiche e immagini satellitari è stato dimostrato che in 60 anni il livello del mare è sì aumentato (di 12 cm, una media di 2 mm all'anno e quindi circa i 2/5 in meno del rateo di incremento degli oceani globali negli ultimi 18 anni) ma ciononostante l'86% delle 27 isole esaminate o sono rimaste esattamente uguali o la loro area è pure cresciuta.

L'aumento del livello del mare, in teoria, dovrebbe portare ad un conseguente progressivo sprofondamento delle isole. Come mai qui non è successo?
La spiegazione è da ricercare nella composizione delle isole. I ricercatori spiegano che le isole nel basso Pacifico sono formate di detriti corallini che, a differenza della sabbia, aiutano a fornire un approvvigionamento continuo di materiale.
«Gli atolli sono costituiti da materiale "vivo" - spiega il ricercatore A. Webb - il corallo riesce a creare una sorta di crescita continua che fa sì che le isole rispondano bene alle mutazioni del tempo e del clima. Finora si è pensato che l'innalzamento del livello del mare destinasse le isole all'annegamento - continua Webb -. Ma questo non succederà, il livello del mare salirà ancora e l'isola stessa inizierà a rispondere».

Si tratta, in effetti, di un ottimo esempio di resilienza di un sistema naturale: le isole rispondono a condizioni di stress esterno assorbendo l'impatto e preservando i loro caratteri funzionali e la loro capacità di autorganizzarsi, ripristinando condizioni di equilibrio in un tempo ragionevolmente sostenibile.



Tuttavia sarebbe inopportuno pensare che tutto sia rose e fiori: quel che lo studio non dice (ma non era un suo obiettivo) è quello che sta prima e dopo.
Prima: i reef corallini sono sistemi viventi a loro volta sensibili alle condizioni ambientali di contorno.
Dopo, come già adesso, queste condizioni al contorno stanno cambiando e cambieranno anche domani.
Un mondo più caldo, per motivi sostanzialmente associati al bilancio di calore degli oceani e agli squilibri radiativi*, porta ad avere anche temperature oceaniche più calde. Al di là delle normali fluttuazioni interannuali /quasi decennali / multidecennali a cui soggiaciono oceani come il Pacifico, le temperature delle sue acque superficiali SST (come pure e in conseguenza dell'accumulo di energia perlomeno nella parte meno profonda) sono aumentate parecchio, soprattutto nella parte indo-pacifica.

Oceani più caldi, così come stress provocati da veloci fenomeni come Nino intensi, sono condizioni al contorno e anche triggers importanti che possono portare le formazioni coralline verso situazioni di sbiancamento reversibile (se di breve durata) o irreversibile (se di durata più lunga) e quindi morte prematura.
Il trigger più importante, che tende ad attaccare e indebolire le loro "difese immunitarie" calcificate e a lasciare i coralli in situazioni più vulnerabili a condizioni di contorno stressanti (come le SST più calde), è la progressiva acidificazione degli oceani (vedi anche qui e qui) in conseguenza dell'accumulo di CO2 antropica che viene assorbita dagli oceani (qui una pubblicazione molto esaustiva sul rischio per la Grande Barriera Corallina, qui un recente stato dell'arte e qui la situazione mondiale). Se questa situazione di innesco non si stesse verificando o non si verificasse in maniera ancora più forte in futuro (cioè in condizioni di pH oceanico meno basso e più stabile), la condizione termica di contorno, entro una certa soglia, potrebbe addirittura favorire la crescita dei coralli rossi. L'acidificazione degli oceani (così come fenomeni di inquinamento chimico locale) abbassano progressivamente questa soglia.

Insomma: le emissioni di CO2, direttamente (tramite assorbimento da parte degli oceani e progressiva loro acidificazione) o indirettamente (tramite effetti radiativi e progressivo riscaldamento degli oceani) mettono in serio pericolo il patrimonio corallino mondiale.
E questo fenomeno avviene lentamente ma con shift improvvisi che lo fanno transitare in una nuova fase, esattamente come un'isteresi.




* La modalità con la quale gli oceani assorbono energia nell'IR non è diretta, ovviamente, ma è mediata dal bilancio energetico globale (e su quest'ultimo agiscono sia forzature naturali come sole e eruzioni vulcaniche, sia forzature antropiche, come GHG e aerosol). Se quest'ultimo fa sì che aumenti il flusso di radiazione infrarossa di ritorno alla superficie oceanica (nello skin layer), gli oceani emettono meno energia e dunque tendono ad aumentare le loro SST fino al raggiungimento dell'equilibrio dei flussi.

Commenti

  1. Ho pensato la stessa cosa, quando ho letto di quella ricerca. Per non parlare di questa idea:

    (ANSA) - ROMA, 6 GIU - Contro i tanti disastri ambientali, dalle maree nere ai mutamenti climatici, che minacciano la barriere coralline ecco una soluzione semplice ed economica per tenerle in vita rigogliose: basta trapiantare rametti di corallo rotti sulle barriere coralline e questi nel giro di qualche anno formeranno nuovi grandi coralli adulti, del tutto reintegrati nella barriera. Messo a punto da Graham Forrester dell'Universita' di Rhode Island, il metodo e' molto simile a quello usato nel giardinaggio per piantare talee (rametti di una pianta). Secondo quanto riferito sulla rivista Restoration Ecology, questa tecnica e' stata testata con successo al largo delle Isole Vergini britanniche le cui barriere coralline sono messe a dura prova dalle tempeste. Non serve essere un giardiniere esperto per sapere che piantando un rametto rotto ne puo' nascere una nuova pianta grande e rigogliosa: il rametto (o talea) interrato emette radici e genera un nuovo individuo. Gli esperti hanno provato a fare lo stesso con le barriere coralline, oggi sempre piu' minacciate dai cambiamenti climatici e dal massiccio inquinamento delle acque, come la marea nera che sta sconvolgendo il Golfo del Messico. Hanno piantato rametti di corallo danneggiati che nel giro di pochi mesi attecchiscono a perfezione e in alcuni anni riescono a formare nuovi grandi coralli.

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  2. Interessante questo tentativo di influenzare la resilienza dei coralli mediante una sorta di "vaccino d'innesto" che ne provochi una reazione adattiva....

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  3. Ma il problema rimane l'acidificazione degli oceani: 'trapiantati' o no, i coralli ne soffrirebbero comunque.

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  4. Certo! Rimanendo in metafora: sarebbe come un vaccino innestato in un corpo comunque già malato per condizioni al contorno che ne riducono l'immunità...

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  5. Certo è che la resilienza ci sarà fino a quando il tasso di incremento del livello del mare sarà così modesto, altrimenti ...

    by Telegraph Cove

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